domenica 21 giugno 2009

PENSIERI LIBERI A BOSTON


A tre settimane dal mio ritorno da Boston, decido d'uscire, dopo essere stato a casa tutto il giorno, a guardare "That 70's show" e a parlare con il mio amore. é il tramonto di una giornata di sole, come se ne vedono poche qui nel New England. La pioggia ed il vento sono sempre in agguato, pronti a rompere i tuoi sogni d'este. Avevo visto su facebook la pubblicità di un cantante jazz, un certo Sachel Vasandani, che suonava quella sera allo Sculler Jazz club. Dopo aver annotato l'indirizzo del locale, prendo la metro, pensando al mio passato, a ciò che ho fatto, alle decisioni che ho preso, e cerco di immaginarmi nel mio futuro, come le scelte che sto facendo ora condizioneranno la mia vita. I miei pensieri vengono disturbati dallo stridio acuto dei freni del treno. Salgo. Mi siedo. Guardo le pubblicità dei corsi estivi alla Harvard Universiry, chiudo gli occhi. Mi addormento. Il dolce dondolare della metro mi fa sempre questo effetto. Mi sveglio di colpo, come se qualcuno mi avesse parlato: ho sentito qualcuno chiamarmi amore? No, era solo il mio sogno, dove ero finalmente tra le tue braccia.
Scendo alla fermata di Central Sq., e mi diriggo verso il ponte sul Charles River. Non ero mai stato in quella direzione prima, e penso a quante cose non ho visto in sei mesi, quanti posti dovrei ancora vedere, quante persone dovrei ancora incontrare, per dire d'aver vissuto pienamente la città. Ma le cose vanno come vanno, e riflettere sempre troppo non sempre è una buona abitudine. Penso invece a quello che ho fatto, alle persone che ho conosciuto, e mi sento più in armonia con me stesso.
Su google map avevo visto che il locale jazz era appena attraversato il ponte, sulla sinistra. Cammino. Si stava anche bene, tra le stradine delle case vittoriane. Vedo il ponte. Il fiume, calmo. In lontananza, sulla destra, la torre della chiesa del campus di Harvard: bianca, con la cupola d'orata, simbolo di cultura e prestigio. Sulla sinistra, il centro città, i grattacieli di Boston, il financial district. Una serie di pensieri si accavallano nella mia testa, domande senza risposta, quando vedrò ancora questo panorama? Proseguo sul ponte, fino all'altro lato del fiume. Non so dove sia il posto, provo a seguire il mio istinto. Entro in un palazzo, è l'Hilton Hotel. Non può essere. Chiedo al check-in. Sì, il posto è quello giusto.
La hall dell'hotel mi ha fatto ricordare d'un tratto la vacanza passata con Laura, a Philadelphia, Washington e New York. Che bella la sensazione di entrare in un hotel a 4 stelle, con la moquette per terra, le scale mobili, i facchini ed il personale molto gentile. Mi dicono che lo Sculler è al piano di sopra. Seguo le indicazioni. Prendo la scala mobile: mi guardo attorno. Mi piace l'Hilton.
Pago il biglietto per il concerto, ed entro in questa stanza, adibita a sala jazz, con tanti piccoli tavolini e sedie, proprio come nei film. Manca l'atmosfera fumosa, e potrebbe benissimo essere un locale anni '30. In fondo, su un piano rialzato, un pianoforte, un contrabbasso e una batteria. Un microfono: non ci sono coristi. Su ogni tavolino c'è una candela accesa, l'atmosfera è motlo romantica. Peccato, che lei non ci sia. Le sarebbe subito piaciuto e io ne sarei stato contento.
Mi siedo in fondo, da solo, ordino un vodka martini. Non so cosa sia, ma provo. Per una sera mi voglio gustare un po' di lusso. Le luci si assopiscono, silenzio. Escono tre musicisti, dall'aria simpatica, iniziano a suonare un pezzo che non conosco. Dal nome, questo Vasandani, ha tutta l'aria d'avere origini indiane, o cose così. Avevo ascoltato un suo demo sul sito del locale. Mi era piaciuto.
Eccolo, ora è anche lui sul palco, canta bene, anche se si atteggia un po' troppo. Bravo, ha eseguito un bel passaggio. Ha una bella cravatta, e porta il gilet... io sembrerei ancora più grosso, beato lui che se lo può permettere. Applausi. Un'altra canzone inizia, questa è bella. Perchè non ci sono concerti così' in Italia? Mah, forse sì. Magari non a Vicenza. Mah, forse sì. Magari sono io che qui mi sembra più facile. Mah. Mi giro, leggermente a destra, e guardo fuori dalla finestra. Lo skyline di Boston, di notte, tutto iluminato, con la musica jazz in sottofondo. Il vodka martini che fa il suo effetto. Non vorrei più partire.
8 canzoni, poche, bravo, ma poteva essere meglio. Chissà se magari un giorno anch'io avrò il mio gruppetto jazz, e potrò cantare le mie canzoni. Mah, non so. CI vuole impegno e dedizione, come per qualsiasi cosa. Non sono adatto, forse, a focalizzarmi solo su una cosa. Andrà come andrà, per ora ho altre priorità nella mia vita.
Pago, esco. Mi guardo attorno nuovamente, nella hall dell'Hilton. Vedo una coppia entrare attraverso la porta ruotante. Lui, sulla quarantina, giacca e cravatta, sorridente. Lei, stessa età, vestita bene, piacevole, a braccetto. Si amano. Lo si vede. Magari, anch'io , tra qualche anno. Uomo di carriera, all'Hilton, con la propria moglie, innamorato come il primo giorno. Chissà, lo spero, lo vorrei tanto.
Esco, vorrei alzare il braccio e chiamare il taxi, come fanno in centro a New York. No, ho già speso tropo per stasera.
Faccio due passi. Riattraverso il ponte. é notte. Le luci sono più nitide , ora. Che bel panorama. Che bell'atmosfera. Mi guardo attorno: sono solo. E realizzo: che senso ha? Non poter condividerlo con un'altra persona. Con lei. Chissà cosa starà facendo: dormendo? Sì, anche da un po'. Ormai è l'alba da lei. Quanto mi manca.
Fotografo con gli occhi quello che vedo, per poterlo rivedere un giorno nella mia mente.Aspetto il verde del semaforo pedonale: eccolo, abbasso lo sguardo e cammino fino al treno. Mi mancherà questa città.

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